Chemochine anomale nella schizofrenia e in casi clinici correlati

 

 

DIANE RICHMOND

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XIV – 22 ottobre 2016.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

 Le chemochine sono considerate da molti dei promettenti biomarkers di attivazione immunitaria e infiammazione, ma finora sembra che la presenza di anomalie dei loro livelli in malattie mentali quali le psicosi schizofreniche e il rapporto fra queste anomalie e le manifestazioni cliniche principali non siano stati definiti e confermati con certezza.

Hong e colleghi hanno condotto un nuovo studio per cercare di stabilire con precisione, in condizioni fisiologiche e psicopatologiche, dei parametri affidabili per definire differenze nelle chemochine clinicamente significative e diagnosticamente rilevanti nella schizofrenia e in psicosi a questa correlate. A tal fine, hanno analizzato un grande campione costituito da oltre cento adulti psicotici e da oltre cento volontari sani di mente che hanno consentito un’adeguata comparazione dei parametri rilevati.

I risultati sono di sicuro interesse e meritano di essere conosciuti nel dettaglio.

(Hong S., et al., Abnormalities in chemokine levels in schizophrenia and their clinical correlates. Schizophrenia Research – Epub ahead of print doi: 10.1016/jschres.2016.09.19, 2016)[1].

La provenienza degli autori è la seguente: Department of Psychiatry, Department of Neurosciences, Department of Family Medicine and Public Health, Sam and Rose Stein Institute for Research on Aging, University of California, San Diego (USA); Cousins Center for Psychoneuroimmunology, Semel Institute for Neuroscience, University of California, Los Angeles (USA); Desert-Pacific Mental Illness Research Education and Clinical Center, Veterans Affairs San Diego Healthcare System, San Diego (USA).

Le chemochine, il cui nome deriva per sintesi da chemo-tactic cyto-kines (= chemokines)[2] e si riferisce alla loro capacità di indurre chemiotassi diretta nelle cellule sensibili più vicine, costituiscono una famiglia di piccole citochine, o proteine di segnalazione secrete dalle cellule. L’inclusione di una citochina fra le chemochine si basa sulla sua fisiologia e sulle caratteristiche strutturali del polipeptide. Oltre ad essere note per la mediazione della chemiotassi, hanno tutte all’incirca una massa di 8-10 KD ed hanno 4 residui di cisteina in posizioni filogeneticamente conservate, che costituiscono la chiave per la loro conformazione tridimensionale.

Nella storia recente della biologia molecolare, prima della classificazione razionale basata sulle conoscenze attuali, queste proteine sono state definite in vari altri modi: famiglia SIS, SIG o SCY delle citochine, superfamiglia del fattore-4 delle piastrine o intercrine.

Alcune chemochine sono considerate pro-infiammatorie e possono essere indotte durante una risposta immune per reclutare cellule del sistema immunitario presso un sito di infezione, mentre altre sono considerate omeostatiche e sono implicate nel controllo della migrazione delle cellule durante i normali processi di mantenimento dei tessuti o di sviluppo. Le chemochine sono presenti in tutti i vertebrati, in alcuni virus e in alcuni batteri, ma sembrano del tutto assenti negli organismi pluricellulari invertebrati.

Le chemochine sono state classificate ripartendole in quattro principali sotto-famiglie: CXC, CC, CX3C e XC. Tutte queste proteine esercitano i loro effetti biologici mediante l’interazione con recettori transmembrana associati a proteine G e chiamati, appunto, recettori delle chemochine; tali molecole recettoriali sono espresse in abbondanza sulla superficie delle cellule-bersaglio della loro azione.

Il campione studiato da Hong e colleghi era costituito da 134 pazienti non ospedalizzati e diagnosticati di schizofrenia o di disturbo schizoaffettivo e da un gruppo di controllo di 112 volontari in buona salute psichica ed in tutto corrispondente al campione affetto da disturbi psicotici. L’arco di età, molto significativo del campione, si estendeva dai 26 ai 65 anni. Tutti i partecipanti sono stati sottoposti a valutazioni di base, quali misure cliniche, e al rilievo dei livelli plasmatici di 11 citochine mediante multiplex immunoassay.

Lo studio delle differenze fra pazienti psicotici e volontari non affetti è stato analiticamente condotto per ogni singola citochina, introducendo le opportune correzioni per età, sesso, indice di massa corporea e stato corrente rispetto all’abitudine al fumo di sigaretta. Gli autori hanno poi verificato se i rapporti di età e genere differissero fra i gruppi diagnostici.

Usando la logistic regression gli autori hanno creato un Chemokine Index (CI) ed hanno esplorato i suoi correlati clinici. I livelli di MCP/CCL2, MIP-1β/CCL4, CCL11, TARC/CCL17 e MDC/CCL22 erano significativamente più alti nelle persone affette da psicosi rispetto a quelle in buona salute psichica. Il CI, una combinazione di livelli di CCL11 e MDC, era associato positivamente con l’età, la durata della patologia schizofrenica e la gravità dei sintomi negativi.

I livelli di chemochine con effetti regolatori autoimmuni erano più alti nelle persone affette da schizofrenia, e particolarmente nei pazienti più anziani con manifestazioni psicopatologiche croniche di lunga durata.

Questi risultati non danno adito a dubbi e suggeriscono la sperimentazione di trattamenti volti alla normalizzazione dei livelli di chemochine, per promuovere la salute fisica e per migliorare le manifestazioni cliniche degli schizofrenici, in particolare quelli affetti da forme croniche scarsamente migliorate dagli attuali trattamenti.

 

L’autrice della nota ringrazia la dottoressa Giovanna Rezzoni per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Diane Richmond

BM&L-22 ottobre 2016

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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[1] Si coglie l’occasione per suggerire la lettura dell’articolo di Karl Friston e colleghi, The dysconnection hypothesis, pubblicato su questa rivista online il 20 luglio 2016.

[2] Il suffisso -kines è derivato dal greco -kinos che sta per movimento.